Il Virus risulta in circolo almeno da Marzo 2019 come scoperto da ben due studi spagnoli:

Albert Bosch e colleghi dell’Università di Barcellona su Applied and Environmental Microbiology e Walter Randazzo e colleghi dell’Università di Valencia su Water Research – hanno ritrovato tracce di mRNA di SARS-CoV2 nei campioni prelevati dalle fogne di Barcellona (una delle città spagnole più colpite dalla pandemia) e di cinque città della Murcia (una delle regioni meno colpite) rivelando in entrambi gli studi che i membri di queste comunità stavano inconsapevolmente immettendo nelle fogne frammenti di coronavirus molte settimane prima che le autorità sanitarie locali diagnosticassero i primi casi di insorgenza della malattia. In particolare, il più antico campione contenente il genoma del virus è stato raccolto dalle acque della capitale catalana addirittura il 12 marzo del 2019.

Secondo altri studi, il virus potrebbe essere stato già presente ancora prima con una carica virale potenzialmente bassa. A causa delle sue continue mutazioni (fino a dicembre 2020 è già mutato ben 12.000 volte) potrebbe essere diventato più aggressivo nel trascorrere del tempo.

Tra l’altro la caratteristica mutativa della Sars-Cov2 è tra le principali ragioni per cui un vaccino o un dispositivo medico come quelli utilizzati ora, non sono efficaci e addirittura possono essere dannosi.

Tornando alla stagione invernale 2019/20 riportiamo articolo dal Quotidiano.net che scrive:

Roma, 19 dicembre 2019 – L‘influenza è entrata nel vivo: è ufficialmente epidemia in tutta Italia con 207.000 casi solo nella scorsa settimana e 1.099.000 da metà ottobre a oggi. Lo rende noto l’ultimo bollettino Influnet dell’Istituto superiore di sanità.

Influenza 2019: contagi tra i più piccoli

Si parla di 3,43 casi per mille assistiti e a essere maggiormente colpiti sono i bambini al di sotto dei cinque anni in cui si osserva un’incidenza di 9 casi per mille pazienti. Tuttavia, i dati, raccolti da 731 medici sentinella che hanno registrato la frequenza di sindromi influenzali tra i propri pazienti, mostrano un andamento dell’incidenza che si può sovrapporre a quello dello scorso anno. Le cifre si dimezzano nella fascia di età 5-14 anni con 4,07 casi per arrivare ai 3,47 nell range 15-64 anni fino all’1,54 tra gli individui di età pari o superiore a 65 anni.

Aree geografiche d’Italia più colpite

L’ influenza ha colpito soprattutto Piemonte, Lombardia, Provincia autonoma di Trento, Umbria ed Emilia-Romagna. Una situazione particolare si è registrata nelle Marche dove l’incidenza ha superato i quattro casi per mille assistiti. La causa dell’impatto della malattia in alcune zone però è “fortemente influenzata dal ristretto numero di medici e pediatri che hanno inviato, al momento, i loro dati”.

Influenza 2019/20, l’esperto: “Virus più insidiosi”

Picco influenzale a fine gennaio 2020

“La curva dei contagi segue quella dello scorso anno. Ci aspettiamo nelle prossime settimane un’impennata della velocità di circolazione, che raggiungerà il picco dopo la fine di gennaio”, spiega Gianni Rezza, direttore del Dipartimento Malattie infettive dell’Iss. “Non vediamo ancora un ceppo di virus predominante. Difficile dire quindi – precisa – se sarà più o meno aggressiva dell’ influenza della passata stagione, che aveva colpito 8,5 milioni di persone, provocando 800 casi gravi, di cui circa 200 morti”. Quel che è certo è che per alcune categorie di persone, come over 65, donne in gravidanza e persone con malattie croniche, come insufficienza cardiaca o diabete, le complicanze sono più frequenti e più rischiose. Di qui l’invito a proteggersi, facendosi vaccinare gratuitamente dal proprio medico di famiglia. “Quest’anno la campagna vaccinale sta andando meglio degli anni passati, molti medici hanno terminato le dosi e ne hanno ordinate altre”, spiega Silvestro Scotti, segretario della Federazione dei Medici di Medicina Generale (Fimmg).

Dunque, l’influenza ancor prima di scoprire l’esistenza della Sars-Cov2 risultava più insidiosa degli anni precedenti secondo gli esperti, ma perché subito dopo la dichiarazione di pandemia effettuata solo verbalmente dall’ OMS, il covid-19 è diventato più aggressivo e letale in tutto il mondo? Come abbiamo letto poco fa, gli esperti consigliavano la vaccinazione antinfluenzale come soluzione ai virus più aggressivi.

Ma prima di analizzare il tema “vaccinazione” andiamo a verificare com’è andata la situazione influenzale nella stagione 2018/19, prendiamo articolo datato 22 Agosto 2019 dal Il Sole24 Ore:

Da ottobre 2018 ad aprile 2019 sono stati segnalati ai vari sistemi di sorveglianza dell’influenza (casi gravi, Sismg, InfluWeb, InfluNet-Epi, InfluNet-Vir) 809 casi gravi provenienti da 19 regioni italiane di cui 8 in donne in stato di gravidanza. Una su quattro di queste persone (198 casi) purtroppo non ce l’ha fatta. Si tratta di casi di influenza confermata in soggetti con diagnosi di Sari (Severe Acute Respiratory Infection-gravi infezioni respiratorie acute) e/o Ards (Acute respiratory distress syndrome-sindromi da distress respiratorio acuto) ricoverati in terapia intensiva. Tre quarti di essi – 601 casi – hanno richiesto intubazione in terapia intensiva.

Sottolineo che 601 casi d’intubazione non sono pochi in assenza in quel periodo (forse) della presenza Covid-19.

La maggior parte dei casi e dei decessi, oltre 8 su 10, hanno riguardato persone con più di 50 anni, con un’età mediana di 68 anni. Tuttavia, ben 163 sono stati i casi in persone con meno di 50 anni che hanno richiesto un ricovero in terapia intensiva. Fra di loro 20 bambini con meno di 5 anni e 8 fra i 5 e i 14 anni.

L’influenza ha avuto gli esiti peggiori in persone con una salute già compromessa: l’84% dei casi gravi e l’89% dei deceduti aveva almeno una condizione di rischio preesistente come diabete, tumori, malattie cardiovascolari, malattie respiratorie croniche, obesità). E soprattutto l’80% dei casi gravi non era vaccinato.

Il principale responsabile dei casi più gravi (522 casi pari al 69% del totale) è stato il virus A/H1N1pdm09, in 107 casi (il 14%) è stato isolato il virus A(H3N2). In 132 (il 17%) il virus A/non sottotipizzato. In un solo caso è stato isolato, il virus di tipo B.

Soffermiamoci ora su questo dato: il Virus influenzale A/H1N1pdm09 è il responsabile dei casi più gravi, a tal proposito vi giro ampia analisi di un altro articolo della rivista belga Neosantè che commenta: il vaccino 2019-2020 può benissimo aver contribuito alla fiammata epidemica mondiale. Esiste un precedente documentato da studi scientifici: l’influenza H1N1 del 2009. «Dei ricercatori canadesi (14) (Skowronski et al. 2010) hanno dimostrato, partendo da parecchi studi successivi (di qualità variabile), che le persone che avevano ricevuto nel 2008-2009 un vaccino antinfluenzale inattivato trivalente (per premunirsi contro l’influenza stagionale) avevano avuto, rispetto ai non vaccinati, un rischio maggiore (dal 40 al 250% secondo i diversi studi) di essere infettati dal virus pandemico A/H1N1, a riprova di un indebolimento post-vaccinale del sistema immunitario», ricorda Michel De Lorgeril, medico e ricercatore, autore di una collezione di opere sui vaccini.

Questo studio condotto da Skowronski nel 2010 ha sollevato molte controversie. Esso rafforza oggi l’ipotesi che la vaccinazione antinfluenzale possa aver provocato quest’anno un’epidemia più severa. Per Skowronski e altri, ciò può essere dovuto, tra altri ipotesi, a una mancanza di immunità incrociata di fronte alle varianti del virus dell’influenza nelle persone vaccinate. Questa immunità incrociata è il risultato dell’immunizzazione naturale e non dell’immunizzazione vaccinale, riconosciuta come assai più limitata. Un altro articolo, apparso nel 2009 in The Lancet Infectious Diseases, conferma tale fenomeno e afferma che esso può anche penalizzare l’immunità di gruppo, vale a dire la nostra resistenza comunitaria a dei ceppi pandemici. L’équipe olandese definisce la vaccinazione «spada a doppio taglio», giacché la contaminazione naturale prodotta dall’influenza conferisce un’immunità più «larga» riguardo alla forme ulteriori di virus.

La nozione di vaccini “altruisti” è oggi rimessa in questione. Risulta in effetti che la vaccinazione di una parte della popolazione può paradossalmente favorire l’apparizione di nuove epidemie. È ciò che si definisce la “tossicità comunitaria”.

Un altro fenomeno poco conosciuto, ma comunque ben documentato dalla ricerca, può aver contribuito all’impennata epidemica a seguito della vaccinazione antinfluenzale. Si tratta del “peccato antigenico originale” e degli “anticorpi facilitatori”, scoperti da Halstead nella febbre gialla. Per riassumere in termini semplici, una prima infezione da un virus può mettere in moto una reazione immunitaria normale, ma una seconda infezione può metterne in moto una severa, con una tempesta di citochine (o tempesta immunitaria). Il peccato antigenico originale designa dunque la propensione del sistema immunitario a prendere di mira solo un antigene preciso, quello legato all’infezione originaria, mentre gli anticorpi “facilitatori” (in inglese antibody-dependent enhancement, ADE) sono responsabili dello scombussolamento immunitario. È un fenomeno che è stato ben documentato con la vaccinazione.

«Quando gli immunologi parlano di ricerca vaccinale contro i coronavirus, lo spettro degli anticorpi detti “facilitanti” fa nascere immediatamente in loro un brivido di ansietà. (…). Degli anticorpi facilitanti sono stati identificati tra l’altro nella febbre gialla, nell’influenza, nell’infezione da HIV, ebola e… SARS. Nella SARS è solo 8 anni dopo l’episodio del 2003 che questi anticorpi sono stati messi in evidenza», spiega Stéphane Korsia-Meffre, nel sito Vidal.fr, in un articolo istruttivo dedicato alla ricerca del vaccino anti-covid (vi raccomando vivamente di leggerlo).

La vaccinazione antinfluenzale può aver contribuito a provocare l’epidemia di Coronavirus.

E’ la clamorosa conclusione che emerge da una lunghissima inchiesta pubblicata dalla rivista belga “Neosantè”, basata su una serie di studi e ricerche condotti a livello internazionale.

Ted Kuntz

I riflettori sono puntati su un segmento di ricerca poco scandagliato, quello dell’interferenza virale, che designa la capacità di un’immunizzazione vaccinale per un certo virus di agire, in senso positivo oppure negativo, sulla nostra immunità nei confronti di altri virus.

Una delle fonti principali della ricerca è Ted Kuntz, presidente dell’Associazione Vaccine Choice Canada, il quale è di recente intervenuto ad un forum promosso dal sito americano “Children’s Health Defence”, fondato e animato da Robert Kennedy junior, figlio di Robert Kennedy e nipote di John Fitzgerald Kennedy.

Da anni Kennedy junior, avvocato dell’ambiente (environmental loyer) è impegnato nella battaglia per un uso consapevole dei vaccini ed è stato uno dei protagonisti, un paio di mesi fa, all’oceanica manifestazione di Berlino.

Giulio Tarro

Da rammentare che nel recente libro (è uscito a giugno 2020) scritto dal virologo napoletano Giulio Tarro, “Covid-19 – Il virus della paura”, vengono forniti non pochi dettagli sulla situazione vaccinale (proprio sul versante di quello antinfluenzale) in Lombardia, la regione più colpita da coronavirus nella prima ondata (ma anche nella seconda): ebbene, da cifre e dati raccolti risultava che la Lombardia era la regione italiana con il più alto tasso di vaccinazione antinfluenzale.

Se due più due fa quattro…

Potete leggere, di seguito, un lungo brano tratto da “Néosantè”, nella traduzione della professoressa italo-francese Sonia Sonda Zaniol per conto del battagliero sito “Disinformazione” animato da Marcello Pamio.

ECCOCI A NEOSANTE

«Una prova randomizzata e controllata contro un placebo presso bambini ha mostrato che il vaccino antinfluenzale ha moltiplicato per 5 il rischio di infezioni respiratorie acute, causate da un gruppo di virus non influenzali, compreso il coronavirus» osserva angosciato Ted Kuntz. Si riferisce allo studio di Benjamin Cowling (2012), cha ha fatto scalpore nel mondo scientifico e trova un significato particolare oggigiorno, perché mostra (anche se si tratta qui di bambini) che una immunizzazione contro l’influenza mediante un vaccino può accrescere il rischio di prendere un coronavirus. Questo studio non è l’unico. Nel 2018 la rivista ‘Vaccineha pubblicato il lavoro di Sharon Rikin, basato nell’arco di tre stagioni su mille persone, di cui il 68% bambini. Esso dimostra lo stesso fenomeno di interferenza virale con dei virus polmonari non influenzali a seguito della vaccinazione contro l’influenza, ma solo nei soggetti con meno di 18 anni. Finanziata dai Centers for Disease for Control and Prevention americani (CDC), la pubblicazione cita un rischio moltiplicato per 4,8 presso i bambini con meno di quattro anni.

La rivista ‘Vaccine’ ha ugualmente pubblicato nel gennaio 2020 uno studio3 effettuato da GG. Wolf sul personale militare americano, che descrive un analogo fenomeno presso gli adulti. Le migliaia di militari americani che hanno ricevuto il vaccino contro l’influenza hanno presentato una sensibilità accresciuta al coronavirus (+ 36%) e al metapneumovirus (+51 %). Molti altri studi ancora (Kelly et al. 2011, Mawson et al. 2017, Diering et al. 2014) testimoniano la recrudescenza di infezioni acute non influenzali dopo una vaccinazione contro l’influenza, principalmente nei bambini.

La mortalità è maggiore nei paesi più vaccinati?

I dati dell’Unione Europea sulla vaccinazione antinfluenzale e i decessi dovuti ai coronavirus sembrano contraddire lo studio brasiliano. È quello che sottolineano due personalità inglesi, Niall McCrae e David Kurten, in una tribuna pubblicata nel sito evidencenotfear.com; il primo è un ricercatore, il secondo un uomo politico. Con l’aiuto dei registri nazionali, essi hanno messo a confronto i tassi di vaccinazione con quelli di mortalità attribuiti al coronavirus.

«Malgrado alcuni casi contrari, è interessante notare che i paesi col tasso di mortalità più elevato – ossia il Belgio, la Spagna, l’Italia, il Regno Unito, la Francia, i Paesi Bassi, la Svezia, l’Irlanda e gli Stati Uniti – hanno tutti vaccinato almeno la metà della loro popolazione anziana contro l’influenza. La Danimarca e la Germania, con un uso minore del vaccino antinfluenzale, hanno per contro una mortalità da Covid-19 alquanto ridotta. Certo, la correlazione non è la causalità, e il numero sproporzionato di decessi da Covid-19 potrebbe spiegarsi con altri fattori. (…). Tuttavia la causa della mortalità dovuta al Covid-19 è probabilmente multifattoriale, mentre il vaccino antinfluenzale va considerato nel quadro di un’inchiesta post mortem più ampia su tale pandemia». Tra le eccezioni si distinguono la Corea del Sud e la Nuova Zelanda, molto vaccinate, le quali vantano un tasso di mortalità decisamente più basso. Esse si distinguono tuttavia per una presa in carico dei pazienti assai diversa.

Per confermare una tale ipotesi, «sarebbe interessante sapere quanti dei decessi attribuiti al Covid-19 sono sopravvenuti in persone cui era stato somministrato, negli ultimi anni, il vaccino antinfluenzale» spiega, per parte sua Ted Kuntz, presidente dell’associazione “Vaccine Choice”. È in effetti una domanda cruciale, che meriterebbe uno studio retrospettivo approfondito. Un’idea per Didier Raoult e i suoi 4000 pazienti?

Secondo il dr. Michel de Lorgeril, al di là di una tossicità a livello individuale dei vaccini antinfluenzali (la cui efficacia clinica non è dimostrata, ricorda il suddetto medico), si sono registrati molteplici effetti contrari comunitari (o “tossicità sociale”). Prima di acconsentire all’iniezione di richiamo stagionale vi consiglio di leggere il suo libro, specialmente dedicato ai vaccini antinfluenzali. Esso verrà pubblicato nell’ottobre 2020 e l’Autore insiste ugualmente sugli studi che documentano i fenomeni di interferenza virale dopo una vaccinazione contro l’influenza.

Alla fortissima ipotesi di interferenza virale come causa dell’aggravamento delle infezioni respiratorie dovute ai vaccini antinfluenzali e il covid-19, si oppongono i siti sbufalatori, sostenendo che il virus è risultato presente anche nei soggetti non vaccinati. A queste obiezioni rispondo che la motivazione potrebbe essere dovuta al fatto che tali soggetti non abbiano realmente riscontrato la Sars-Cov2 ma un altro virus influenzale che causa notoriamente le stesse infezioni polmonari con tubazioni annesse. Questo è dovuto ad altri grandi temi ancora non pienamente affrontati dalla comunità scientifica, cioè quello della validità dei Test PCR come strumento di ricerca specifica per un singolo virus e dell’isolamento realmente avvenuto dello stesso.

Sappiamo che lo stesso ideatore dei Test PCR ha messo in guardia la comunità scientifica internazionale dall’abuso dei suoi test, questo perché se utilizzati ad ampi cicli di amplificazione (come è accaduto e sta accadendo) possono rilevare qualsiasi virus, batterio, fungo, compresi scorie di virus morti da mesi se non da anni. Infatti è di recente la notizia che l’OMS ha consigliato di abbassare tale soglia per evitare la scoperta di falsi positivi. Sappiamo benissimo che tale soglia non è monitorata da nessuno e le case produttrici dei test (più di un centinaio solo in Europa) hanno una sensibilità diversa tra loro.

Ma ora soffermiamoci sulla questione dell’isolamento del covid-19 come strumento di ricerca. Iniziamo ad avere diverse testimonianze internazionali sul “non isolamento del virus”. Il primo a segnalare questo fatto con tanto di denuncia esposta a tulle le Procure Italiane è l’Equipe del Dott. Stefano Scoglio, per ora ancora tra i pochi profeti in patria, sostiene: “Lo riconoscono inequivocabilmente, sia la Commissione Europea che il CDC USA, l’organismo sanitario nazionale più importante del mondo.

Partiamo dalla Commissione Europea, che nel suo documento del 16 Aprile scorso scrive:

Since no virus isolates with a quantified amount of the SARS-CoV-2 are currently available…” (European Commission, Working Document of Commission Services, Current performance of COVID-19 test methods and devices and proposed performance criteria, April 16 2020, p.19).

Poiché non è disponibile nessun isolato del virus con una quantità data del SARS-Cov2…”.

Prima di analizzare nel dettaglio questa affermazione, che comunque mi pare self-evident (evidente di per sé), vediamo cosa scrive il CDC:

Since no quantified virus isolates of the 2019-nCoV are currently available…” (Center for Disease Control and Prevention, Division of Viral Diseases, CDC 2019-Novel Coronavirus (2019-nCoV) Real-Time RT-PCR Diagnostic Panel, 13/07/2020, p.39).

Dato che non è disponibile nessun isolato quantificato del virus 2019-nCoV…”

Insomma, sia l’Europa che gli USA dicono la stessa cosa: chiamano “virus isolato” un materiale in cui il virus non è stato quantificato. Ma se non è stato quantificato, come fa ad essere un virus isolato? In qualsiasi lingua, isolato significa separato da qualsiasi altra sostanza, e dunque costituente l’isolato al 100%. Quando si fa un estratto, ad esempio di ficocianine, ci si accontenta dell’80% per dire che si tratta di ficocianina pura: non è veramente così, ma la si accetta come convenzione perché ci si accontenta dell’80%. La ficocianina la si conosce nei dettagli, è stata pienamente identificata a caratterizzata, e dunque si può quantificare. Ma qui, non si sa neppure quanto sarebbe il virus!

Questo intanto prova che ciò che viene chiamato “virus isolato” è, come ho sempre sostenuto, una matrice complessa di cui il virus costituirebbe solo una percentuale. Ma che percentuale: l’1%, il 5%, il 50%? Boh, non si sa, potrebbe essere costituito al 99% di altro, ma lo continuiamo a chiamare “isolato”!

E c’è di più: se io conoscessi il virus, se lo avessi identificato adeguatamente, lo saprei riconoscere all’interno della matrice complessa, e dunque lo potrei quantificare. Il fatto che nessuno lo abbia quantificato, come ammettono sia la Commissione EU che il CDC, significa che il virus, oltre a non essere mai stato veramente isolato, non è mai stato neppure identificato, descritto e caratterizzato nella sua costituzione naturale, perché altrimenti lo si sarebbe potuto quantificare all’interno della matrice complessa. Ciò implica che tutte le sequenze geniche che ci vengono presentate come il “virus isolato”, non sono che costruzioni ipotetiche elaborate al computer, meri artifici!

Da ultimo, se non abbiamo mai né isolato né identificato il virus, cosa c’è nei tamponi? Cosa c’è nei vaccini in preparazione? E soprattutto come si fa a dire che questo presunto virus, che allo stato attuale della conoscenza è completamente sconosciuto, sia responsabile di quale che sia patologia?

Sono domande a cui la scienza dei burionidi dovrebbe rispondere, ma che semplicemente farà in modo di ignorare e deridere perché non se ne parli…

Il 12 gennaio 2021 su Facebook è stato pubblicato un video che mostra una donna di nome Gemma O’Doherty, attivista, giornalista che da Dublino afferma che il servizio sanitario irlandese avrebbe risposto a una sua richiesta effettuata tramite il Freedom of Information Act (foia) dichiarando che «il virus Covid-19 non esiste». Nel video O’Doherty spiega di aver chiesto al servizio sanitario irlandese le prove che certifichino l’isolamento del virus Sars-CoV-2. L’autorità sanitaria del Paese, stando a quanto riportato dalla donna, avrebbe risposto di non possedere nessun documento in relazione alla richiesta fatta.

https://rumble.com/vcmmsk-la-sanit-irlandese-ammette-il-virus-covid-19-non-stato-isolato.html

Ovviamente si sono scatenati i siti fact check sostenendo che la realtà dell’isolamento del virus è così palese da non obbligare il servizio sanitario irlandese a produrre un documento provante. Sinceramente questa obiezione mi sembra troppo superficiale, in quanto se il virus è realmente stato isolato, sarebbe opportuno, utile e a scanso di equivoci per il servizio sanitario irlandese produrre delle prove scritte in merito. Invece hanno risposto che non hanno nessun documento per la richiesta specifica. Io credo come voi di aver inteso bene il significato, non l’hanno letta così gli sbufalatori di Professione.

Ma l’ultima dichiarazione che và nella direzione opposta alle obiezioni degli sbufalatori arriva di recente, fresca, fresca, dalla Cina: il Dottor Wu Zunyou del Centro del Controllo delle Malattie per lo Stato Cinese, in un intervista rilasciata all’emittente americana NBC News , afferma che il cosiddetto virus covid-19 NON è stato isolato! Letteralmente: “Loro non hanno isolato il virus, questo è il problema. Non ti dice niente se l’unico risultato positivo, non sospetta venga da quello che inizialmente pensavamo”.

Dottor Wu Zunyou del Centro del Controllo delle Malattie per lo Stato Cinese, in un intervista rilasciata all’emittente americana NBC News , afferma che il cosiddetto virus covid-19 NON è stato isolato!

Ecco, dovrebbe esserci un dibattito internazionale in merito a questi grandi temi ancora tabù per la maggior parte della scienza Mainstream attuale, dovrebbero anche muoversi alcune Procure. Invece si preferisce non indagare e schernire chi sostiene e confuta il contrario.

Riassumendo, come scrive il giornalista Andrea Cinquegrani: la vaccinazione antinfluenzale annuale, con cui la metà della popolazione occidentale è vaccinata, ha potuto da una parte favorire l’emergere di ceppi pandemici (influenzali o di altro tipo) e dall’altra indebolire la nostra capacità di resistenza immunitaria di gruppo. Due eventualità meritevoli quanto meno di essere studiate a fondo, prima che nuovi vaccini “covid” suscitino ancora il fenomeno dell’interferenza virale, gettando in tal modo benzina sul fuoco.

Infatti come riportato nei mie ultimi articoli, clicca qui per leggere, i “vaccini” covid-19 così impropriamente chiamati, stanno causando numerosi focolai e decessi nelle RSA e nelle strutture Ospedaliere dopo pochi giorni dalla somministrazione, a significare come scrive Cinquegrani che il fenomeno dell’Interferenza Virale andrebbe studiato e verificato prima di sponsorizzare la campagna vaccinale, soprattutto a difesa delle categorie più deboli come gli anziani o chi ha patologie pregresse. Invece ad oggi, tale fenomeno viene lasciato nel dimenticatoio, mentre i fatti suggeriscono una strada possibile se non probabile: i vaccini antinfluenzali rendono più aggressivo e letale il covid 19 esponendo il vaccinato ad un periodo dove il proprio sistema immunitario è altamente a rischio infezione.

Andrea Leone 12/02/2021

Fonti:

https://www.quotidiano.net/cronaca/influenza-2019-sintomi-durata-1.4946527

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